Spazi di guerra, spazi di pace

Una lettura geografica di Michael Walzer e delle culture morali del conflitto armato

a cura di Angelo Turco e Marco Maggioli

RIFLESSIONI, DISCUSSIONI, INTERVENTI

Dall’introduzione al volume di Angelo Turco

Cerchiamo di capire da geografi, cioè con una lente critica di tipo empirico-analitico e non puramente filosofico, uno studioso che oltretutto, nella vasta maggioranza come mostra un pur rapido sorvolo della nostra produzione geografico-politica, i geografi conoscono poco. E senza l’ingenuità di ridurre tutta la divaricazione alla diversità del mestiere, cerchiamo di capire se e in che modo la cultura morale della guerra, così dottamente costruita in M. Walzer, prende in carico la geografia. Intendiamo, precisamente, dicendo “geografia”, la “territorialità del mondo” combinata con l’attività politica dei corpi sociali specificamente interessati, di volta in volta.

E se e come, in questo rapporto che vorremmo immaginare costitutivo dell’abitare; eppure, privo di formule semplicistiche, la geografia sia finalmente “altro” da uno spazio senza corpo territoriale, che somiglia cioè – nelle presupposizioni e nelle mancate esplicitazioni filosofico-morali – somiglia terribilmente a una “estensione”.

Quest’ultima a sua volta denotata da una “dimensione” (come nell’espressione “vasti spazi”), da una “posizione (come nell’espressione “rimland” oppure “vicino e lontano”) e da un inventariabile cumulo di “capabilities” ridotte ad una loro primitiva funzione belluina (come nelle espressioni “capacità produttive” oltre, naturalmente, a “popolazione” per dire numero di combattenti).

Si può oggi interrogare con qualche profitto l’antica idea di “guerra giusta”? Dopo che per secoli è stata scandagliata nelle sue plurime declinazioni: “guerra santa”, “guerra preventiva”, “guerra umanitaria”, per ricordare solo le più note e le più recenti. Si può, si deve. Si può a partire dalle rivisitazioni stimolanti – anche se talora divisive – di un filosofo della politica, come M. Walzer.


INTERVENTI